A Terlizzi la culla del presepe rimane vuota
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A Terlizzi la culla del presepe rimane vuota: la critica sociale della parrocchia San Gioacchino

Don Michele Stragapede e l'artista Paolo De Santoli: «È davvero possibile parlare di Natale in un contesto di guerra?»

Una grande culla vuota adorna di merletti e stoffe bianche, circondata da sedute in paglia per accomodarsi e riflettere. Nessun simulacro di Gesù Bambino vi è stato adagiato, in segno di protesta silenziosa agli orrori dei molteplici conflitti in corso in tutto il globo. Un messaggio evocativo simbolico, ma potente, che è stato condiviso da don Michele Stragapede, parroco della chiesa San Gioacchino in piazza Cavour: l'installazione è stata allestita dai parrocchiani con il coordinamento dell'artista terlizzese Paolo De Santoli.

Il primo presepe risale al 1223, quando Francesco d'Assisi volle proporre la natività vivente, così da mostrare alle persone del suo tempo la povertà in cui nacque Nostro Signore. Da quel momento scaturì una tradizione secolare che si è tramandata sino ai giorni nostri. Eppure, a Terlizzi, a distanza di circa ottocento anni, si è scelto con un piccolo gesto rivoluzionario di aspettare la venuta del Messia. Uno scenario di attesa, per l'appunto.

«È davvero possibile parlare di Natale in un contesto di guerra? Ci sembra che Gesù la porta l'abbia aperta, ma nessuno entra in quel tipo di mentalità votata alla fratellanza e alla solidarietà. Ci limitiamo a scambiarci gli auguri, però di fatto nessuno si chiede cosa si può fare per gli altri e per il loro bene».

Le riflessioni di don Michele Stragapede sono genuine e arrivano dritte al punto. «I pastori in visita al Bambinello compresero che veniva loro restituita la dignità. Sarà, dunque, veramente Natale quando noi stessi avremo garantito pane e dignità a tutti coloro che soffrono per le più svariate ragioni».

Con la nascita di Suo Figlio, lo stesso Dio si è fatto uomo, chiedendo agli umani di prendersi cura di un essere divino: una sorta di patto di fiducia fra il Supremo e gli uomini e le donne del suo creato. Rappresentare, quindi, una mangiatoia inutilizzata incide metaforicamente proprio su quella capacità delle persone di poter custodire l'essenza altissima e celeste che viene donata a loro salvezza e beneficio.

«Potrà mai rinascere il Principe della Pace se abbiamo dichiarato guerra alla vita? Gli angeli che annunciano la pace portino guerra alla nostra sonnolenta tranquillità e al nostro complice silenzio, mentre il mondo va sempre più in frantumi, si sfrattano popoli, si fabbricano armi, si militarizzano la nostra cultura e la nostra terra, si condannano popoli alla fame e allo sterminio» si legge nel manifesto di spiegazione dell'opera: il pensiero vola al genocidio nella Striscia di Gaza, alle stragi in Ucraina, alle mai placate lotte in Sudan.

A Natale si celebra la vita, ma siamo soggiogati da venti mortiferi. Ecco, dunque, che si svela l'intento di cittadini sensibili che non si arrendono all'indifferenza di chi continua a trastullarsi in esistenze spensierate e acritiche, senza venire scalfiti dal dolore internazionale, così lontano, eppure tanto vicino.

Sono eloquenti le immagini sia della disperazione di un papà palestinese che stringe fra le braccia il corpo esanime della sua carne sia della triste rassegnazione di una mamma che tiene il suo piccolo in preda all'inedia. Dinanzi a scatti che urlano pietà, «tocca a noi rinascere e provocare una primavera di vita per tutti a cominciare dagli impoveriti. Queste reazioni disperate di un mondo agonizzante che producono frutti velenosi cedano il passo ai vagiti della speranza di un mondo che rinasce».

Da ultimo, l'appello di don Michele affinché l'arte presepiale diventi un modo per meditare e aggregarsi all'insegna dell'unità e della condivisione. «Sarebbe interessante indire un concorso su presepi da realizzare in piazza e sul momento con esplosioni di creatività artistica. Potrebbe essere anche un modo per presidiare il territorio e renderlo vivace».
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