Uno Maggio Taranto 2025
Uno Maggio Taranto 2025
Eventi e cultura

Uno Maggio Taranto, dieci anni da “Liberi e pensanti”

Il concertone al traguardo dei due lustri, nella città simbolo di una nuova resistenza

Dieci anni sono lunghi, ma - come il buon vino - a volte il tempo migliora e non invecchia. È il caso dell'Uno Maggio Taranto, il "controconcertone" nato nel 2013 (due anni saltati per il Covid ) dalla volontà del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti per rispondere all'appiattimento culturale dell'analogo evento romano, e che nel 2025 taglia il nastro dei due lustri.

Un'edizione, quella andata in scena ieri nella cornice del Parco archeologico delle Mura greche nel capoluogo ionico, all'insegna dei temi che hanno fatto di Taranto la città simbolo di una nuova resistenza. Uno Maggio Taranto, quest'anno, è stato dedicato alla memoria di Massimo Battista, attivista e fondatore del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti, riferimento politico dell'evento.

Con la conduzione leggera ed efficace di Andrea Rivera, Martina Martorano e Serena Tarabini (più le incursioni di Naip - Nessun artista in particolare), e sotto l'egida di tre direttori artistici del calibro di Michele Riondino, Roy Paci e Antonio Diodato, il festival autogestito e autofinanziato ha dato spazio all'interstezionalismo delle lotte, nella giornata della Festa dei lavoratori che - per definizione - non può essere una ricorrenza qualsiasi.

A maggior ragione, poi, se si parla di Taranto, la città che continua a sopportare l'odioso ricatto tra lavoro e salute, rappresentato dallo skyline dell'ex Ilva e dalle polveri mortali che avvelenano l'adiacente rione Tamburi, all'ingresso della città. Ma, dalla sua, il capoluogo ionico è diventato - a causa delle condizioni materiali della vita tarantina - un luogo di sorprendente vivacità, di riscatto "underground", di opposizione alla narrazione di un Sud arretrato, depresso, senza speranze.

«Di lavoro non deve morire nessuno - si legge nel documento politico dell'edizione 2025. Noi ci siamo unite e uniti agli operai per opporci a un sistema che si nutre di corpi schiacciati, scaraventati in mare, stritolati sui binari, consumati da colate incandescenti e da terapie che ci bruciano dall'interno. Un sistema marcio che ci costringe a marcire. Perché questa realtà non fosse più taciuta è nata la prima giornata del nostro Uno Maggio. Da allora abbiamo conosciuto centinaia di persone e insieme abbiamo riconosciuto lo stesso potere che ci sfrutta, privandoci dei diritti vitali, obbligando la maggior parte di noi a sopravvivere. Siamo in un Paese dove popolo e governo si incontrano sempre meno e in questa distanza pericolosa l'interesse pubblico è diventato privato, il mandato della democrazia rappresentativa si è trasformato nello strumento ricattatorio per un consenso elettorale estorto, con promesse di piccoli e grandi privilegi».

Protagoniste sono le lotte, contro lavoro povero e insicuro, contro ingiustizie, razzismo e discriminazioni, contro il capitalismo feroce e senza contropoteri a bilanciarlo; lotte di cui Uno Maggio Taranto, libero e pensante, è diventato simbolo. La scelta degli artisti, quest'anno, è apparsa chiara fin da subito, a cominciare dall'invito recapitato a Paolo Rossi, comico, sì, ma anche importante voce di messaggi politici. La musica e le arti come mezzi di riscatto, ma anche come grido militante di antifascismo, un tema su cui - spesso e volentieri - certa politica ha un approccio timido e, di conseguenza, ambiguo.

Pochi nomi di big, tanto spazio alla musica emergente e al coinvolgimento dal basso: questo il "claim" di Uno Maggio Taranto per il decennale. Accanto agli ormai "veterani" dell'indie italiano Giancane, Ascanio Celestini e Motta, e sotto l'egida di cavalli di razza quali Roberto Angelini e Rodrigo D'Erasmo (chiamati sul palco a presentare il loro progetto in coppia) e Il Teatro degli Orrori, trovano spazio artisti in rampa di lancio come l'idolo estone Tommy Cash, Mille, Acquachiara, Denaldo, Lamante, Fideles e Riva Starr. Grandi applausi per i Pop X, per l'idolo di casa Fido Guido (star tarantina del reggae e del reggaemuffin) e per La Niña, cantante e attrice napoletana già nota alla critica musicale per il suo impegno, artistico e politico, femminista e meridionalista, espresso attraverso le sonorità mediterranee.

Questione di genere che, peraltro, è una delle stelle polari di un documento politico trasversale e intersezionalista: «Abbiamo più difficoltà a sentirci al sicuro quando paghiamo fisicamente le ricadute della colonizzazione economica dei nostri territori, facendo i conti con lunghe liste di bambine e bambini che si ammalano, con tante donne a cui non è concessa la scelta libera, fatta d'amore e di idee, di diventare madri perché le conseguenze del sistema produttivo ne compromettono gravemente i corpi. Per non parlare dei comitati "pro vita", muniti di idee ma privi di competenze specifiche, autorizzati a confrontarsi (?) con le donne nei consultori, dove esistono già le figure professionali necessarie». Più avanti è scritto: «Nel recentissimo rapporto di Ilga Europe, organizzazione globale riconosciuta sia dalla Commissione europea sia dalle Nazioni Unite, emerge nitidamente the l'Italia della prima presidente del consiglio donna è finita agli ultimi posti in Europa per la garanzia dei diritti delle persone Lgbt».

Al centro della giornata, ovviamente, anche il tema per cui Taranto è diventata tristemente famosa in Italia e in Europa: «Le dinamiche di dominio - si legge più avanti - oltre il disastro ambientale che strettamente ci danneggia e, insieme a quelle comunità che come non si sentono sovrastate da un negazionismo inaccettabile del cambiamento climatico già in essere e dal perseguimento di profitti a qualsiasi costo, ragioneremo della democrazia partecipativa a cui puntiamo. E indispensabile dare ascolto e appoggio alle generazioni più giovani che subiscono le condizioni attuali di cui non sono responsabili e pagano it prezzo più alto della strategia di repressione in atto, nelle strade e purtroppo anche nei luoghi preposti alla cultura. Parleremo di fatti concreti, con testimonianze dirette, perché la politica deve essere fatta dalle persone per occuparsi delle persone».

Ecco, le persone… Proprio quelle che - nell'idea degli organizzatori - sono finite sotto la lente d'ingrandimento dell'attuale governo, poco chiaro nel definire il confine tra "sicurezza" e "militarismo"; così come poco chiaro è l'atteggiamento nei confronti di alcuni nostalgici del ventennio e di chi, al contrario, viene identificato per l'esposizione di messaggi antifascisti in occasione del 25 aprile.

«Si varano leggi che ci proteggano dall'aggressione fisica, dalla sottrazione di beni, che garantiscano sicurezza nelle strade, con obiettivi certamente condivisibili - è scritto nel documento. Ma come ci protegge lo Stato quando ad aggredire è una persona in divisa, senza identificativo, quando a spremerci ogni risorsa sono i costi insostenibili della sopravvivenza quotidiana, quando a metterci in pericolo sono le produzioni industriali, i servizi sanitari inadeguati, quando sono le norme a sottrarci gli spazi di espressione e di aggregazione, quando dobbiamo nascondere I'orientamento sessuale per vederci riconosciuto il dritto all'abitare, il diritto a non subire pestaggi».

La decima edizione, poi, si salda con il cinquantesimo anniversario di Amnesty International e con la campagna di Emergency #r1pud1a. Non ci sono, infatti, lavoro e giustizia sociale senza il riconoscimento trasversale dei diritti umani e l'impegno contro imperialismo, razzismo, genocidio e guerre mosse dall'interesse economico di pochi soggetti di capitale e delle politiche che ne sono al servizio.

Il documento si conclude con il «tema della guerre che incombe su tutto ciò che ha vita su questa Terra, violentata e messa tanto in pericolo da cercare una sponda su Marta. Purtroppo non è fantascienza, perché mentre l'Europa deve ricostruirsi uno spazio nelle controversie internazionali, fra Trump e Putin che sembrano giocare a Risiko, per acquisire diritti sulla riviera di Gaza e sugli avamposti ucraini, nella quotidianità dei civili innocenti, continuano a piovere missili veri, su Odessa oggi e su quel che resta della Palestina anche domani. Dove andrà a posizionarsi la nostra prima presidente donna è ancora da vedere, in bilico fra un volo indipendente dall'Europa a sostegno di Trump e un summit parigino a raccolta della stessa Europa. Quando a dettare le scelte politiche sono gli affari è chiaro che ad ogni rilancio tutto può cambiare. Altrettanto chiaro è che il piano di risoluzione dei conflitti, spudoratamente, non è più la diplomazia ma quello delle armi, dell'industria bellica che vince sulle richieste di disarmo, di un diritto alla guerra normalizzato che vince sulle convenzioni internazionali per la pace. È questione di vita e di morte, la partita si gioca tutti i giorni e la perdono sempre, su ogni fronte, i soggetti più vulnerabili. Maggiori sono le minacce e maggiore è la necessità di affermare i princìpi fondanti del nostro spazio autodeterminato».
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