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Politica

Norma antisindaci: destino incerto per i primi cittadini pugliesi

Si attende la decisione della Corte Costituzionale del prossimo luglio

È dubbio il destino politico per i sindaci pugliesi che aspirano al ruolo di consigliere regionale alle prossime elezioni. La spada di Damocle della "norma anti-sindaci", in particolare, è puntata sulle teste di Giovanna Bruno, sindaca di Andria, Fiorenza Pascazio, prima cittadina di Bitetto, e Pino Giulitto, fascia tricolore di Bitritto, che ancora non hanno la certezza sul dover dimettersi sei mesi prima delle votazioni per poter rientrare nella lista a supporto di Antonio Decaro, potenziale candidato del centrosinistra nella corsa a presidente della Regione Puglia.

La disposizione, contenuta nell'art. 219 della legge regionale n. 42/2024, impone che i sindaci "cessino dalla carica per dimissioni entro 180 giorni prima dello scadere del quinquennio". Per poter concorrere nel Consiglio regionale, cioè, i primi cittadini hanno l'obbligo di dimettersi 180 giorni prima della scadenza della legislatura. Per la verità, si tratta di una previsione già sancita in leggi di altre regioni italiane, quali Campania, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia. L'introduzione di un simile costrutto normativo in Puglia, definito anche "norma Scalera", ha rappresentato una manovra politica avanzata dal consigliere civico di centrodestra Antonio Scalera: non solo la norma è stata votata con voto segreto a dicembre 2024, ma è stata finanche appoggiata da diversi esponenti della maggioranza.

A livello di governo centrale, il Consiglio dei ministri, tuttavia, ha impugnato la legge di bilancio pugliese, sollevando questione di legittimità costituzionale, poiché sostiene che la norma antisindaci crei disuguaglianze tra i cittadini che vogliono candidarsi e comprima il diritto di elettorato passivo dei sindaci. In particolare, comporterebbe un'indebita lesione della sfera individuale dei diritti costituzionalmente garantiti per i sindaci e si ripercuoterebbe sulla stabilità e sulla durata del governo dei territori locali, non assicurando la continuità amministrativa degli enti. Sarebbero, dunque, violati i principi di ragionevolezza e proporzionalità, prevedendo, peraltro, un termine di gran lunga anticipato rispetto a quello di presentazione delle candidature, fissato in 30 giorni prima della votazione.

A fronte della posizione assunta dall'esecutivo nazionale, però, la Giunta regionale pugliese ha deciso di non opporsi all'impugnazione della norma. Si aspetterà, comunque, il 9 luglio prossimo per l'udienza della Corte Costituzionale, la quale valuterà, per l'appunto, i profili di costituzionalità della norma attenzionata.

In attesa della pronuncia della Consulta, in questo periodo si era pure vociferato di un possibile accordo tra maggioranza e opposizione per ridurre i tempi di dimissione delle fasce tricolori, da 180 a 60 o 90 giorni. Ad ogni modo, la riduzione del termine è ben lontana dall'approvazione, in considerazione anche delle divisioni che inaspriscono gli animi. Proprio di recente, una strategia di ostruzionismo politico ha impedito di esaminare il disegno di legge di correzione della norma antisindaci in una seduta del Consiglio regionale.

Dato lo stallo attuale, quindi, si delineano tempi risicati per le dovute modifiche qualora le elezioni dovessero espletarsi a novembre di quest'anno, incidendo così sulle scelte dei candidati al Consiglio regionale.
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